Chi sono i cosacchi e il loro ruolo militare
La vicenda dell’occupazione dei cosacchi in Carnia rappresenta un capitolo della più vasta storia che riguarda centinaia di migliaia di soldati dell’Urss. Essi sin dal 1942 collaborarono con le truppe naziste contro lo stalinismo e il comunismo. Si trattava di fare leva sulle rivendicazioni nazionaliste delle numerose etnie che componevano il mosaico dell’Unione Sovietica e sul sentimento religioso, specie musulmano, mortificato e represso dalla politica della dirigenza sovietica. Nella seconda metà del 1942 Hitler accettò suo malgrado di avere aiuti e rinforzi da parte degli oppositori del regime staliniano tra cui appunto i cosacchi, popolo nomade proveniente dalle aree sud-orientali della Russia europea.
Da sempre i cosacchi volevano difendere la loro libertà ed autonomia, la loro cultura e i privilegi che gli zar avevano finito per riconoscere. Il regime sovietico con la collettivizzazione dell’agricoltura aveva invece brutalmente cancellato ed annullato privilegi, identità, tradizioni e ogni anelito di autonomia delle comunità cosacche. L’Armata cosacca formatasi in Bielorussia nel 1943, trasferita in Polonia nel 1944 venne poi impiegata in Carnia con la promessa da parte dei tedeschi- a guerra finita – di concedere loro questa terra e trasformarla in Kosakenland.
All’inizio dell’ottobre del 1944 i nazisti con l’intento di contrastare nell’Alto Friuli e nella Carnia il movimento partigiano, mandarono reparti di cosacchi in Carnia a presidiare i paesi friulani. Le genti di tanti paesi vennero forzatamente sfollate: furono costrette a rifugiarsi sugli stavoli in montagna o a cercare ospitalità in altri comuni per lasciare le proprie case ai presidi militari e alle famiglie cosacche. In altri paesi, tra cui Verzegnis, l’occupazione cosacca si trasformò in una coabitazione forzata. Tutto ciò durò fino all’aprile del 1945.
Il racconto del signor Pio Cella sui cosacchi in Carnia
Durante il nostro viaggio lungo il Tagliamento siamo riusciti a parlare con il signor Pio Cella – che attualmente vive in Francia ma che d’estate torna nella sua terra natia, Villa di Verzegnis – e ad intervistarlo. Abbiamo colto l’occasione al volo per incontrarlo e farci raccontare ciò che ha vissuto e che qui trascriviamo.
All’epoca dei fatti il signor Pio aveva 13 anni e riporta i suoi ricordi in questo scritto che vi proponiamo, intitolato “I Russi a Villa di Verzegnis“
Già nel mese di luglio e agosto del 1944 si sentiva parlare di “russi” accampati ad Amaro, Osoppo, Trasaghis, che facevano delle incursioni a Tolmezzo; ma è ai primi di ottobre del 1944 che superarono la cittadina di Tolmezzo presidiata dai reparti della Wermacht e delle SS irrompendo nella valle del But. Verso la fine di novembre mi trovavo nel campo per raccogliere e sistemare i paletti dei fagioli per l’anno venturo quando nella strada che da Chiaulis porta a Villa di Verzegnis vidi sbucare lentamente una lunga colonna di carri con copertura di tela e trainati da cavalli e cammelli, seguiti da gente a piedi. Terminai il carico e svelto mi affrettai verso casa. Erano le 17.30: fuori la luce del giorno calava e mi misi al riparo vicino al fuoco.
Sentivo dalla finestra un rumore di carri, un mormorio di persone che parlavano ad alta voce con parole incomprensibili
Guardai dalla finestra carri sostati lungo la strada e poi anche nel cortile, dai quali venivano scaricati dei bagagli. Improvvisamente i russi entrarono in cucina da padroni. Deposero i bagagli, si sedettero guardandoci negli occhi, parlando una lingua di cui non capivamo nulla. Venne l’ora di cena: minestra e patate con formaggio. Anche loro estrassero dai loro fagotti del pane e uno strano companatico. Gli offrimmo delle patate e con un sorriso ripeterono “spasibo, spasibo”. Dopodiché si misero a dormire. Il giorno seguente chiesero di sistemarsi nella stanza adiacente alla cucina e in una camera al piano superiore. La sera precedente si erano introdotte sette persone ma ne rimasero quattro, due per locale inclusa una donna in stato interessante.
Durante il giorno i nuovi arrivati di spartirono le case nelle quali si sistemarono
In seguito nel villaggio trasformato in presidio, lentamente venne a stabilirsi una certa familiarità fra i valligiani e gli invasori. Le abitazioni erano sovraffollate e molti dormivano al piano terra, nei corridoi. L’aria per le vie odorava di fieno, d’aglio, di carne lessata e venne introdotto il coprifuoco dalle 20 alle 6. Li chiamavano cosacchi ma in realtà si trattava di un miscuglio di etnie distinte, soprattutto di religione musulmana ortodossa, ceceni, azerbaigiani, daghestani.
I cosacchi si distinguevano secondo la loro provenienza: cosacchi del Don, del Kuban, del Terex, asiatici
A causa della convivenza forzata iniziarono a sorgere i primi problemi, come ad esempio quello del fieno destinato ad alimentare i cavalli: durante il giorno venivano portati al pascolo nelle campagne, ma la notte comunque molti fienili venivano “visitati” per razziare le scorte di fieno depositato dai valligiani per il sostentamento delle vacche. Si pose inoltre il problema del riscaldamento: ci chiesero arnesi da taglio e si misero ad abbattere meli, peri, noci: era legname di facile approvvigionamento perché vicino all’abitato, ma per noi prezioso perché ci forniva la frutta.
Assistetti al primo funerale, con la salma trasportata in cimitero a bara scoperta e poi chiusa sul ciglio della fossa. Come pure alla nascita di un bambino, secondo una modalità che non avevo mai visto in precedenza: la madre in piedi, nella posizione che di solito si adotta al gabinetto…La settimana seguente fui invitato al battesimo di rito ortodosso, con l’immersione del neonato in una bacinella, accompagnata da preghiere e benedizioni: al bimbo venne assegnato il nome Logna.
In quel periodo il nostro divertimento era recarci la sera in campagna con gli occupanti per recuperare i cavalli al pascolo
e cavalcare fino in paese, ma erano sempre loro ad indicarci quali cavalli cavalcare, perché certuni erano ammalati di quella che noi chiamavamo rogna: dalle ferite sulle zampe scorreva una secrezione giallastra che veniva curata portando l’animale in un casolare composto di una sola stanza: dalla finestra introducevano nella ferita un bastoncino che reggeva un pezzo di zolfo acceso che cauterizzava ed arrestava la fuoriuscita del pus.
Giunse in quei giorni a Villa di Verzegnis il generale Pëtr Nikolaevič Krasnov
assieme alla moglie Lidia Fedeorovna. Scortati da agili cavalieri ed ufficiali, in una carrozza coperta, presero dimora nella locanda “Stella D’Oro”, dove due guardie consentivano l’accesso solo a chi fosse munito di lasciapassare del comando ufficiali.
Krasnov, comandante supremo dei cosacchi, politico e militare, già generale d’armata della controrivoluzione zarista, intrattenne solamente qualche breve colloquio col parroco di Verzegnis, Don Graziano Boria, al quale fece dono di un suo libro con dedica in italiano. Il reverendo Don Boria mi teneva come suo primo aiutante e chierichetto, lasciandomi in sagrestia a sorvegliare mentre egli si recava a celebrare le funzioni religiose.

Ricostruzione della pianta del villaggio di Villa di Verzegnis durante l’occupazione cosacca. Pio Cella.
Fu Don Boria, schietto e loquace, ad intercedere con l’Atamano per mitigare le ruberie e gli stupri in tutto il presidio cosacco
Fu creata una convenzione per la quale ogni famiglia doveva consegnare 10 kg di fieno per evitare il calpestio della campagna. I cavalli trovati isolati nella campagna li accompagnavamo davanti all’abitazione del capo presidio il quale si occupava di rintracciare il proprietario per ammonirlo sul mancato rispetto della convenzione. Krasnov usciva una o due volte alla settimana, sempre scortato dai suoi cavalieri per recarsi a Cavazzo, luogo di molte riunioni d’ufficiali. A Tolmezzo era invece di stanza il comandante militare cosacco generale Domanov.
Nel frattempo continuava la convivenza dei paesani con le tradizioni e le usanze degli occupanti
Dopo una riunione tra gli ufficiali e l’Atamano Domanov, di cui non si seppero le ragioni, nel tardo pomeriggio del 27 aprile vidi un manipolo di cosacchi al posto delle comunicazioni di presidio. Curioso di capirne il motivo mi avvicinai e udii il capo presidio – da noi soprannominato “il Barbon”, avvolto da un grande mantello di ermellino di colore bianco – che annunciava di voler ricevere un interlocutore dei partigiani.
Dopo 10 minuti di attesa sbucò da via Cadore un uomo piccolo e tarchiato con il fazzoletto verde della Brigata Osoppo che reggeva un bastone su cui era fissato un fazzoletto bianco. Costui interloquì col capo presidio in lingua francese. Chiese alle truppe occupanti di deporre le armi perché la guerra era finalmente terminata con la resa tedesca.
Il 29 aprile suonate le campane per la messa del mattino, arrivò il parroco Don Boria per annunciare la fine delle ostilità
e invitarci ad issare una bandiera sul campanile. Così feci mentre Don Boria si preparava per la celebrazione della messa. Entrarono però in fretta e furia due ufficiali cosacchi e ci condussero al portone della locanda “Stella d’Oro”. Un ufficiale salì al primo piano da Krasnov. Al loro ritorno ci ordinarono di togliere la bandiera finché loro fossero stati in paese. Don Graziano venne trattenuto fino a quando non eseguimmo gli ordini.
Osservammo tutti gli atteggiamenti dei nostri invasori, numerosi commenti si scambiarono tra di loro. In silenzio rifecero i bagagli, li caricarono sui carri trainati da cavalli e cammelli e se ne andarono il 30 aprile 1945 verso Villa Santina. All’alba del primo maggio smantellarono il quartiere del generale Krasnov. Nella locanda non rimase alcuna traccia del soggiorno dell’Atamano che partì senza chiasso da Villa di Verzegnis.
La fine dei cosacchi
Quando i cosacchi si ritirarono dalla Carnia andarono verso il Passo di Monte Croce Carnico per raggiungere l’Austria e prendere il treno che li riportasse in Russia. Braccati dalle truppe sovietiche, molti si suicidarono piuttosto di rientrare in Unione Sovietica.
Cosacchi a Lienz dopo la resa e prima della consegna ai sovietici.
Ringraziamo di cuore il signor Pio Cella per questa testimonianza sui cosacchi in Carnia. Vi invitiamo ad andare anche a Timau al museo sulla Grande Guerra dove al primo piano si trova una sala dedicata a questo popolo e a questa vicenda così delicata.

Pio Cella ad una celebrazione in ricordo dell’occupazione cosacca
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30 commenti
Mia mamma che era classe ’34….non ha mai parlato male dei cosacchi, “era povera gente” come noi e tanti pidocchi 😅
Grazie della testimonianza.
È importante far conoscere questi avvenimenti, di cui nel nostro territorio si sa poco. Un sentito grazie a voi che siete riusciti a trovare un testimone di quel periodo!
È storia! Grazie del commento.
Sig. Pio CELLA, mi chiamo Arrigo Boria classe1937, nipote di Don Graziano BORIA, forse si ricorda di me. Le segnalo un mio ricordo, di un episodio avvenuto nel 1944 a Gemona, dove mia madre Cristina, sorella del parroco, gestiva una Osteria. Giunse una carrozza trainata da 4 cavalli, governata da un cocchiere cosacco che accompagnava il parroco di Verzegnis, Don Graziano Boria, e un personaggio alto due metri con la barba folta che veniva chiamato il Pope dei Cosacchi. Il motivo di questa visita era mirata all’approvigionamento di generi alimentari e di vino bianco per le celebrazioni delle Sante Messe.
Farò recapitare il Suo messaggio al signor Pio. Grazie per averlo condiviso.
Mia madre classe 1919 li ha visti e mi ha raccontato, ricorda un Atamano con mantello di astrkan nero su cavallo bianco…..ad Ampezzo in piazza
Sono ricordi preziosi da conservare. Grazie.
TolmezzinoClasse 1936. Della mia casa in via Generale Cantore vennero requisite due stanze, assegnate una a un fficiale che la usava solo per dormire, e una a una famiglia di tre persone che la usava come fosse un appartamento. Il comportamento di quelle persone fu irreprensibile, il loro ricordo estremamente positivo, e la commiserazione per la triste fine tuttora viva.
Grazie per la sua testimonianza.
Non sapevo di questa bella Storia dei cosacchi. Di questa miserabile povera gente. Che poi parecchi di loro hanno fatto una brutta fine suicidandosi per non ritornare in Russia.
Eh si…molti di loro si buttarono nella Drava pur di non tornare in “patria”.
I Cosacchi sono arrivati anche nella valle del Torre; lo diceva mia mamma che ha rischiato, causa l’inesperienza di un giovane cosacco che stava maneggiando un fucile nella cucina di casa, una schioppettata partita per sbaglio.
Meno male che non è successo niente! Grazie del commento.
Me lo raccontava mio nonno di Bressa (Campoformido) sono arrivati di notte con carri trainati da buoi sono entrati in tutte le case per mangiare e dormire alla mattina dopo aver fatto razzia nei pollai e nelle stalle sono ripartiti verso la Carnia……,..mio nonno è riuscito a non farli entrare in casa facendo sulla porta una croce con la calce dicendo che c’era una malattia contagiosa …..ma quanta paura !!!!
Immagino non sia stato piacevole…grazie per aver condiviso questo aneddoto.
Mi dicono che sono passati per Cividale dove qualcuno è rimasto.Non ne parlano male di loro.
Grazie della testimonianza.
Una bella testimonianza, non sapevo la storia dei cosacchi in Italia. Si conosce fino a quali comuni presero possesso nel Veneto? Un consiglio per un libro che tratti le realtà di quegli anni. Grazie
Buongiorno, i cosacchi occuparono il Friuli non il Veneto.
Io ho letto il libro di Patrizia Deotto “i Cosacchi in Carnia”.
Cordialmente,
Sara
Salve i miei genitori sono testimoni ancora viventi dell’arrivo dei cosacchi a Ligosullo Ud) e hanno raccontato la loro storia raccolta da un volumetto edito dalla fondazione bresciana di storia essendo loro da molti anni residenti a Brescia
Buongiorno Elisa, molto interessante! Sarebbe possibile acquistare questo libro? Mi interesserebbe la loro testimonianza.
Grazie Sara, tutto MOLTO interessante, qulcosa sapevo, ma queste integrazioni sono preziose
Mi fa piacere ti sia piaciuto questo articolo. Grazie del commento, Sara
Sono oggi di visita a Lienz- Austria, e ho letto oggi sui cosacchi, una triste storia. Grazie per suo articolo.
Si proprio triste e dimenticata. Mi fa piacere abbia apprezzato, grazie.
Sara
La storia dei Cosacchi in Carnia e la loro fine tragica mi hanno sempre commosso. Dopo la lettura di questa testimonianza ho un motivo in più per affermare che è stata una triste storia. Mi è piaciuto molto l’articolo.
Grazie Mirella. È una testimonianza preziosa che spero sia apprezzata.
Segnalo il libro di Carlo Sgorlon “L’armata dei fiumi perduti” premio Strega nel 1985 che parla dell’armata cosacca che si è insediata in Friuli proveniente dalla Russia.
Grazie, molto gentile e utile.