Ovvero: bello il Mondo ma mai come casa!
Credo si possano riassumere così i miei ultimi anni: un ricorrente desiderio di ritornare in Friuli, di stabilirmi, avere un equilibrio, un minimo di routine quotidiana e, perché no, provare anche un po’ di noia.
Ripenso spesso a quando ho deciso di licenziarmi e partire con un biglietto di sola andata Friuli – Nuova Zelanda. Ci penso in questo momento, a distanza di quasi 3 anni da quel fatidico 3 febbraio 2014 e mi dico “cacchio, Sara, sei davvero stata coraggiosa!”. Anche se avevi qualche conoscenza, anche se sei stata accolta e benvoluta, anche se hai sempre avuto un tetto dove dormire, sei stata coraggiosa. Hai avuto le palle di mollare tutto e andare verso l’incognito, da sola. Certo, non sono andata in guerra; non sono andata dall’altra parte del mondo senza un soldo e non sono andata scappando da una situazione tragica a casa. Però, nel mio piccolo, solo ora mi rendo conto che ho avuto coraggio. Me lo sono sentita dire tante volte dagli altri e mi sono sempre fatta una risatina di circostanza, senza sapere mai cosa rispondere.
Anche adesso che sono stata “spedita” in Cina per lavoro mi sono sentita dire “io non so se l’avrei mai fatto…”, “caspita…che coraggio!” e a volte più che farmi piacere, queste frasi mi hanno dato fastidio perché sembravano dette quasi per pietà o compassione.
Invece a me è venuto spontaneo rispondere con entusiasmo alla richiesta del mio titolare di andare a Shanghai per tre – sei mesi; ho accettato subito di aiutarlo a risollevare il difficile mercato cinese e di poter gestire più da vicino anche gli altri paesi asiatici. È prima di tutto un’attestazione di stima e fiducia e in secondo luogo è un’altra esperienza umana e lavorativa, una sfida con sé stessi e con le proprie capacità.
Sono nella capitale economica cinese, nella metropoli internazionale dei Balocchi
Abito a 1.7 km dal capolinea della metro numero 12, Qixin Road, a un’ora dalla movida. Se chiedete agli shanghainesi dove si trova, nemmeno loro lo sanno! Esco di casa la mattina per recarmi a piedi al lavoro che è proprio di fronte alla stazione. Penso: a forza di camminare, perderò qualche chilo!
Visto che il mio cinese si limita alle sole parole “ni hao” (il saluto tipico) e “xie xie” (grazie), due sono le armi che possiedo per acquistare il pranzo lungo la strada: o indicando le immagini pseudo-veritiere appese dietro alla cassa (con la fila di gente dietro che aspetta…), o prendendo lo stesso piatto che sta mangiando il mio vicino. Se non ci sono né le immagini né il vicino buongustaio, opto per arrivare in ufficio ed affidarmi all’interpretazione di Amy, la mia collega.
Se Amy non c’è, compro della frutta e mi sistemo così (dai, volete che io non dimagrisca??). Insomma, anche se sono in una zona un po’ remota della città dove non spiccano il volo grattacieli avveniristici o si trovano pizzerie italiane ad vogliam, sono soddisfatta della mia conquistata quotidianità.
Ogni mattina, mi rassicura andare dallo stesso negoziante che mi prepara un’ottima crepes cinese e che mi saluta sempre con il sorriso, dicendo “hi” (deve aver capito che sono straniera!). Mi dà la carica percorrere un breve tratto di strada con l’anziano – credo avrà 90 anni, senza esagerare – che alle nove di ogni giorno traina il suo risciò stracarico di cartoni.
Rimanere all’estero o tornare in Friuli?
Resta il fatto che nonostante cerchi di aggrapparmi ad ogni sorriso o ad ogni illusoria compagnia, io non sia al settimo cielo qui a Shanghai e non lo ero nemmeno in Nuova Zelanda. Adesso, mi manca il contatto intimo con la natura, le lunghe passeggiate all’aria pura, quella che ti riempie i polmoni e ti fa stare bene; mi manca il poter stendere il bucato in giardino con la convinzione che si pulisca ancor meglio sottostando alla volontà del vento.
In Aotearoa, mi mancava il saper cosa fare in un giorno di pioggia: l’andare a visitare una città d’arte che sia DAVVERO antica; il trovarsi con gli amici per un aperitivo, solo per il piacere di stare assieme; l’andare a teatro o all’opera perché è una cosa comune e non un evento. Eppure, in Nuova Zelanda, dopo un periodo di assestamento come potatrice di vite e cameriera in un ristorante italiano, avevo trovato un lavoro a tempo indeterminato e ben retribuito, per il quale non dovevo neanche fare grandi sforzi: scrivania, telefono, ordina i pezzi di ricambio ai fornitori europei e comunica le date di consegna ai clienti. Fine. Noioso, ma avevo ottenuto il tanto agognato visto di lavoro, dopo solo sei mesi dal mio arrivo. Un sogno per tanti emigrati in cerca di fortuna.
Dopo quindici mesi però non ce l’ho fatta più
La consapevolezza di essere e rimanere da sola, dall’altra parte del mondo, a trenta ore di aereo dal Friuli, mi ha sconfitta. E dire che oggi possiamo effettuare chiamate in diretta video e non dobbiamo aspettare il postino affinché, dopo settimane e settimane, ci recapiti una sospirata lettera con le ultime novità da casa!
Eh già, è proprio l’essere stata da sola che mi ha fatto tornare a casa dalla Nuova Zelanda ed è l’essere da sola ora che mi fa fare il conto alla rovescia dei giorni che mancano per rientrare in Italia. Certo, le amicizie all’estero sono state e sono fondamentali, danno un grosso aiuto e sostegno reciproco. Però la famiglia per me è una ed è in Friuli.
Solo quella mi consente di rimettere le pile in carica, aspettare che la spia ridiventi verde e ritrovare così la voglia di partire.
2 commenti
Credo sia lo stesso per tutti i lavoratori trapiantati in altri posti che non siano l’interland del nostro vissuto di crescita.
MI sono molto vicino alla tua esperienza eppure lontano… Non sapere a chi rivolgersi per sanità, servizi, malinconie da distaccamento della propria vita affettiva, l’angoscia di una scelta da fare ma pregna di incertezze, relazioni sociali stringate a sorrisi e saluti di circostanza, e la speranza di non dover mai trovarsi ad avere bisogno di aiuto dal mondo esterno perché proprio dal mondo esterno arrivavo le necessità.. Insomma sradicati dal proprio terreno naturale di crescita (noioso, anche ma proprio per questo rassicurante…). È stato difficile vivere in Friuli!
Ma il verde e la secca/violenta Bora, le Alpi giulie, l’aria l’urbanistica la storia multiculturale mitteleuropea mi è entrata poco alla volta nel cuore… E ora fa male trovarsi in liguria, lontano dagli amici coltivati nel tempo in un ambiente diverso ignoto… Da piemontese sarò più monataro, ma da figlio di esule istriano sono anche di mare e colline verde, grigioe bianco sporco e come la pietra d’Istria di cui Gorizia faceva sfoggio come il bel merlotto bosco di uno scialle giuliano…
Ciao Loris, grazie per il tuo commento. La vita di emigrato non è assolutamente facile: è un eterno conflitto tra ciò che non ti piaceva della tua casa ma che poi ti manca e ciò che non ritrovi nel paese in cui vai perché è inevitabilmente diverso. Ti sono vicina e spero tu possa tornare presto, anche solo per un viaggetto, in Friuli Venezia Giulia.